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Inchiesta sul carcere italiano

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOIn Italia le brutte storie sono destinate a ripetersi. Così con il problema del debito pubblico, di cui tutti ad un tratto sembriamo diventati esperti conoscitori tanto da proporre le nostre "medicine" economiche, o rispetto ai fenomeni sismici che da qualche anno coinvolgono l'Italia, allo stesso modo una questione antica quanto la storia della Repubblica riguarda le carceri italiane, che pure non hanno il privilegio di salire quotidianamente agli onori della cronaca. Basti pensare che, nonostante i vari decreti per mitigare il sistema detentivo come la messa in prova e l'introduzione del regime ordinario aperto, i detenuti nelle nostre carceri sono all'incirca 68.000 compressi in spazi progettati per ospitarne 45.000. Logica conseguenza è stata che i 28 provvedimenti tra amnistia e indulto della nostra storia repubblicana non sono stati risolutivi della condizione carceraria ma solo un palliativo per tirare avanti fino alla successiva pronosticata emergenza. Le condizioni indignitose di detenzione, unite all'assenza di seri programmi riabilitativi, rendono di fatto lettera morta la previsione del 3° comma dell'articolo 27 della Costituzione, che al contrario prescriverebbe trattamenti conformi al senso di umanità e finalizzati alla riabilitazione e al reinserimento sociale del condannato. Una violazione latente della nostra carta fondamentale che però non è passata inosservata a livello europeo, dove la Corte della CEDU ha ormai un'ampia raccolta di casi anche per l'Italia. Infatti la giurisprudenza CEDU, richiamandosi a quanto detto dal Comitato per la prevenzione della tortura che raccomanda uno spazio minimo di 7 mq a detenuto, riconosce ai detenuti italiani, i quali hanno in media 3 mq a persona, il risarcimento del danno per trattamenti inumani e degradanti in violazione dell'art. 3 della Convenzione stessa. In questo quadro tragico a livello umano e costoso a livello economico uno dei problemi maggiori in Italia, unitamente all'eccesso di penalità, è sicuramente quello della carcerazione preventiva. Il 42% dei detenuti in Italia, la metà dei quali verrà dichiarata innocente, è infatti in carcere in attesa di giudizio, contro una media europea che si aggira intorno al pur alto 25%. La necessità dei magistrati di dare una risposta all'esigenza di pena percepita dalla popolazione è sicuramente aggravata dalla cronica lentezza ed inefficienza del nostro sistema giudiziario, che da la percezione che "i criminali veri sono sempre fuori". Troppe volte ciò si è risolto nella violazione dei casi previsti dalla legge per la custodia cautelare, tanto che anche su questo punto l'Italia è stata condannata in sede CEDU per il suo uso eccessivo. Tale misura dovrebbe avere il carattere dell'eccezionalità e le ipotesi previste dalla legge di inquinamento di prove, pericolo di fuga o di reiterazione del reato dovrebbero essere puntualmente riferite al caso concreto e non, come in concreto avviene, genericamente richiamate.

Massimo Reboa

 

Dal Regno Unito la proposta del carcere privato

Mentre sul continente si discute di come sopperire alla cronica mancanza di fondi, oltremanica nascono proposte forse deplorevoli dal punto di vista morale ma di certo innovative. L'idea di introdurre le imprese private nel settore delle prigioni infatti apre sicuramente a molti rischi, primi fra tutti la possibilità che per massimizzare i profitti il privato incida sui diritti dei detenuti, che sicuramente non hanno né i mezzi né la forza mediatica di far sentire la loro voce, e un possibile interesse di questo nell'aumentare il numero dei criminali e quindi della "clientela." Nonostante il ristretto campione in esame e la brevità del tempo preso in considerazione, i dati dimostrano come a dispetto di strutture generalmente buone la larghissima maggioranza delle multe per inadempimento contrattuale non sono correlate agli insuccessi nel fornire condizioni di vita favorevoli al reinserimento dei detenuti, evidenziando così una difficoltà nel controllare questa fattispecie della situazione. Pur se con risultati migliori dell'esperimento statunitense, il progetto ha prodotto nel complesso risultati altalenanti, anche se ha stimolato al miglioramento anche del sistema carcerario pubblico.

 

Francia: la via delle misure alternative

Se in Italia le cose vanno male, Oltralpe per una volta almeno non si ride. I cugini francesi infatti sono alle prese con gli stessi nostri problemi, anche se ridimensionati, primo tra tutti il sovraffollamento con i trattamenti disumani e degradanti e le questioni di salute annesse. A questi vanno sicuramente aggiunti i problemi legati alla cronica mancanza di risorse e di personale, nonostante le paghe rimangano ad un livello piuttosto basso. Inoltre le iniziative per l'assunzione del personale si presentano nel complesso scoraggianti e la figura del funzionario dell'amministrazione penitenziaria rimane tutto sommato poco conosciuta, a fronte di un lavoro difficile e poco considerato. Le condizioni dei detenuti sono tali che hanno portato al suicidio diversi detenuti. Una nota positiva però è che sono in corso di studio diverse misure alternative alla detenzione, tra cui l'uso del braccialetto elettronico che consente l'estensione degli arresti domiciliari ad ampio raggio. Nonostante il riconoscimento dei progressi da parte del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, la Francia è stata condannata più volte per le condizioni inumane del suo sistema carcerario.

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