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Posto fisso: un controsenso?

avv. Romolo Reboa, avv. Reboa, Romolo Reboa, Reboa, Romolo, Ingiustizia la PAROLA al POPOLO, la PAROLA al POPOLOAlcune riflessioni su un argomento dibattuto senza riuscire ad inquadrare i giusti confini che oggi sembrano non esistere più. In questi giorni tra gli argomenti maggiormente gettonati dai media, il maltempo e la crisi economica, troviamo uno dei più diretti corollari di quest'ultima. Insieme agli interventi del Presidente della Repubblica, alle diatribe sull'art. 18 dello statuto dei lavoratori, le misure anticrisi, viene dato molto spazio al problema del posto fisso di lavoro. Una prima elementare e lapalissiana osservazione. Chi scrive non ha e mai avrà un posto di lavoro fisso per propria (sciagurata?) scelta. Decisi dopo l'università di fare l'avvocato, già nella consapevolezza che una libera professione è l'antitesi del posto fisso e delle certezze che ne derivano: stipendio, ferie, malattie, pensione e, non ultima (anzi), la possibilità di un mutuo. Mi verrà obiettato che un avvocato guadagna di più; che è pieno di soldi, anche perché evade le tasse; che si fa pagare parcelle esose; che fa durare anni i processi perché almeno incassa di più di onorari ed altro ancora. Chi conosce la professione sa bene quanto poco di vero vi sia nei luoghi comuni che riguardano la nostra professione e come noi avvocati abbiamo un reddito mensile garantito pari a zero, vita natural durante, spese fisse ed in costante aumento e la paura quotidiana di perdere il miglior cliente (o l'unico) che abbiamo. Piccola nota, volutamente polemica. I primi che invece non sono consapevoli di quale sia la situazione di un avvocato, sono gli aspiranti praticanti che come prima domanda ad un possibile dominus, chiedono quale sia il loro rimborso spese mensile. Ergo: tu avvocato che non hai certezze economiche devi darle a me. In ogni caso non credo torneremo indietro e continueremo ad esercitare con orgoglio e dignità la nostra professione, nonostante i luoghi comuni e recenti normative da cui emerge come la nostra categoria non sembri essere molto simpatica agli attuali legislatori. Perché noi non abbiamo scelto il posto fisso? Eppure eravamo stati avvertiti. La mente torna ai tempi in cui la frase che fin troppo spesso ci sentivamo dire era "Prendi un pezzo di carta, poi un posto di lavoro si trova". Nell'immaginifico dell'epoca, dei nostri padri e nonni, il posto fisso era quello in banca, alle poste, o in un ministero. Enel e Sip (che fatica ricordare come si chiamava allora) erano ancora prese in considerazione in quanto aziende statali e quindi sicure. E' cambiato qualcosa da allora? Tutto. Non voglio mettermi a fare il tuttologo da salotto televisivo andando a cercare motivazioni sociali, sociologiche, economiche o peggio ancora pseudo psicologiche, ma mi sembra non siano molto cambiate le cose (rectius, la mentalità) da quegli anni. Ancora oggi si cerca il posto fisso. Vicino casa, magari. Il problema è che ad essere radicalmente cambiata, è la situazione mondiale, ma pare proprio che questa puerile evidenza non voglia essere accettata. E non intendo certo parlare della situazione economica, ma di quello che possiamo definire semplicemente il mondo esterno, ossia quello che si è costituito di fatto come il villaggio globale. Il mondo è più piccolo e si muove più rapidamente. Vi è maggiore accesso alle informazioni in tempo reale; un viaggio che solo pochi decenni fa poteva sembrare infinito, oggi è diventato un fatto di routine quotidiana. E i voli low cost se prenotati per tempo, lo rendono abbordabile a tutti. All'inizio degli anni 90 si vedevano i manager con in mano pesanti cassettoni che avrebbero fatto venire la scoliosi ad uno scaricatore di porto: erano i primi cellulari. Oggi arzilli ottantenni chiamano con piccoli smart-phone la moglie o la badante per dire a che ora vogliono trovare la pasta in tavola. Per non dire gli effetti che ha portato internet nei rapporti quotidiani, non solo di lavoro ma anche interpersonali. Potrei continuare con esempi a non finire, ma mi sembra essere già scaduto nel banale discorso da bar. Il mondo del lavoro è cambiato, la società è cambiata, la globalizzazione ci ha cambiati. I ristoranti cinesi che nei primi anni 70 sembrava fossero degli spacci di cavallette, oggi sono parte della quotidianità, ed è normale mangiare con le bacchette, oppure nella pausa pranzo fermarsi per un kebab o un sushi. L'economia è cambiata. Le dinamiche internazionali sono cambiate. Cosa invece non è cambiata? La mentalità del posto fisso, conseguenza diretta (voluta se non pretesa) del pezzo di carta. Quanti istituti (pseudo scuole forse è meglio definirle) offrono recupero anni scolastici, esami universitari garantiti, diplomi in breve tempo? Come dire: "venite da noi (ed evitate la scuola ordinaria) per avere in mano lo strumento che vi metterà in mano il diritto al posto di lavoro fisso."Anzi!!! Andiamo oltre. Noi scuole private oggi vi facciamo anche avere il titolo professionale che vi permette di accedere ad una libera professione evitando di superare un difficile esame riservato solo a raccomandati o superfortunati!!! Dopo la pubblicizzata possibilità di diventare abogado in Spagna, abbiamo visto anche la possibilità di ottenere, nello stesso paese, il titolo di fisioterapista o qualcosa del genere. Per fortuna sembra le cose sul punto stiano cambiando. Ma il punto non è quello di far avere a chiunque (di fatto pagandolo), il famoso pezzo di carta. La questione è sempre ed ancora quella di un posto fisso. Ho la fortuna (o forse sfortuna, dipende dalle prospettive) di avere amici nel mondo con cui confrontarmi e valutare le proprie esperienze. Da molti mi sono sentito dire che il loro sogno nella vita è cambiare lavoro "almeno ogni cinque anni", altrimenti sarebbe un fallimento la loro vita. Ho conosciuto chi si è preso un anno di aspettativa non retribuita dal lavoro per seguire un master, per poi avere maggiori possibilità di carriera. Forse agevolati dal fatto di conoscere bene l'inglese e magari altre lingue si spostano nel mondo a cercare nuove opportunità. E prima di arrivare a questo punto, molti di loro hanno cercato di entrare in atenei prestigiosi, o cambiato università non per cercare quella dove gli esami erano più facili, ma quella migliore per il loro curriculum; quella più difficile d importante. Facendo anche debiti per avere un titolo spendibile. Non voglio ripetere i loro immaginabili commenti su fenomeni tipicamente italiani quali le sopra nominate scuole provate, il turismo universitario o, peggio ancora (visto che ha toccato proprio noi avvocati) il turismo per l'esame di abilitazione. Il mondo continuerà a cambiare, ne dobbiamo prendere atto, accettarlo ed adeguarsi, a meno di non voler correre il rischio dell'obsolescenza personale. Noi avvocati, nel nostro piccolo, già ci confrontiamo con questo profondo cambiamento nel nostro quotidiano, nella lotta per accaparrarci un cliente e mantenerlo. Sappiamo bene cosa vuol dire non avere un posto fisso. Anche chi gode del privilegio di avere importanti clienti, provati o istituzionali, che garantiscono centinaia di pratiche, può perderli in un solo pomeriggio. E quindi continuiamo nelle nostre battaglie quotidiane, prima per la pagnotta e poi per difendere la categoria da attacchi esterni e da lotte intestine. Ma permettiamoci un momento di riflessione. Le parole di alcuni ministri, attaccate ferocemente da più parti, sono drammaticamente vere. Il posto di lavoro fisso è qualcosa che andrà pian piano a scomparire. Flessibilità, ed elasticità devono essere le parole d'ordine riferite non al mercato del lavoro, bensì a noi stessi. E non voglio riferirmi a chi non riesce a trovarlo il lavoro, ma principalmente a chi può perderlo. Le aziende chiudono, si trasferiscono, cambiano. Possono non avere più ragione di esistere. L'esempio più eclatante? Immaginate le aziende che producevano rollini fotografici negli anni settanta, o chi produceva le vecchie macchine da scrivere e non ha saputo prevedere l'avvento del computer. Chi di noi oggi, come Indro Montanelli, scriverebbe qualcosa con la amata lettera 32? Sarà necessario per tutti reinventarsi per trovare un posto in questa nuova società, oppure essere solo comparse in attesa di una sempre meno possibile e più lontana pensione. Eppure ci sarà sempre chi continuerà a combattere per il posto fisso, quello da avere subito dopo il diploma o la laurea, quello da mantenere fino alla pensione, con qualche possibilità di carriera, ma senza fare mai un salto nel vuoto. Con tutto ciò che in termini di sicurezza può comportare, ma anche con la prospettiva che una volta perso questo posto (ed il rischio oggi c'è, ed è concreto), una persona adagiatasi sullo status quo, senza una preparazione a nuove possibilissime situazioni, ed incapace a riadattarsi, possa trovarsi senza prospettive o alternative. Insomma, in una prospettiva europea, mondiale, globale, avverto ancora spinte verso l'italianismo più stagnante. In questo caso auguriamoci che, chi lo vuole, possa conservare a vita il proprio posto di lavoro, fisso, timbrando ogni giorno il cartellino, nella stessa stanza, con gli stesi colleghi, ossequiando il solito superiore .....Opss.. scusate, ma non vi ricorda tanto il ragionier Ugo Fantozzi?

Gianni Dell'Aiuto*

Avvocato del Foro di Roma

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