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Intervista con Giulio Manfredonia

Legge Basaglia: "Si può fare".

Ultimamente ho avuto l’occasione di vedere un film delizioso che si intitola “Si può fare”, del regista Giulio Manfredonia. L’ambientazione è Milano, primi anni Ottanta. Nello, un sindacalista interpretato magistralmente da Claudio Bisio, sostenitore troppo acceso di modernità, terziario e mercato, viene allontanato dal sindacato. Assegnato ad una cooperativa di pazienti dimessi dal manicomio per effetto della legge Basaglia, riesce a vedere in loro oltre agli evidenti disagi, anche delle qualità e capacità e comincia a trattarli come pari. Questo comporterà dei problemi a volte irreparabili, ma i risultati positivi, il meccanismo virtuoso innescato, la voglia di vivere e di credere nel valore dell’uomo avranno la meglio. Da qui il desiderio di conoscere il regista del film che è riuscito a parlare in maniera così delicata, ispirata ma anche comica di un argomento difficile, quale l’inserimento nella vita “normale” di persone con problemi mentali. Tanto da avere fatto ridere il pubblico del Festival del cinema di Roma per buona parte della durata del film e raccolto cinque minuti e più ininterrotti di applausi a fine film, oltre a quelli durante la proiezione.

D. Qual è il motivo per cui hai scelto di fare un film su questo argomento?

R. Il motivo accidentale è che ho letto questo soggetto e mi è piaciuto, quello profondo per cui uno fa una scelta piuttosto che un’altra è sempre misterioso.

L’argomento tocca delle cose che hanno sempre fatto parte dei miei lavori, più o meno c’è sempre qualcosa che ha a che fare con l’identità, con le persone come sono e come sono percepite.

D. Questo film oltre che a parlare della legge 180, su cosa si focalizza di più a tuo parere?

 R. Come dice sempre Fabio Bonifaci, lo sceneggiatore , questo è un film sullo sguardo, sulla capacità di trovare attraverso lo sguardo di un altro, la propria posizione. Che in quanto tale non è mai neutro, perché attraverso lo sguardo più positivo uno riesce a trovare delle risorse che non crede di avere. E’ proprio il tramite per rientrare nella vita… E nel contesto della malattia mentale ciò è determinante e in questo film c’è un piccolo personaggio che fa trasparire l’origine della malattia di uno dei ragazzi, è la mamma di Gigio. Anche lei è portatrice di una sua verità, ma si capisce che è lo sguardo opposto a quello di Nello, perché è protettiva al limite del repressivo e della svalutazione , le sue frasi sono: -“ Ma lui non è capace”, “Ma lui è debole”- Dice tutte cose molto sensate, ma si intuisce che il problema di “Gigio” nasce dal suo rapporto con la madre.

D. Che poi è il problema di tanti ragazzi che vivono in queste famiglie apparentemente perfette ma dove in realtà si inviano messaggi sottostanti di svalutazione?

R. Molti giovani di oggi patiscono questo senso di sfiducia della “sicurezza”. C’è una frase che dice lo psichiatra a cui ci siamo ispirati :-“Noi abbiamo scambiato la libertà con la sicurezza”-.

E io lo trovo un fatto bellissimo perché è così, è chiaro che bisogna rischiare per essere liberi no?

D. Questo film oltre che riflettere fa anche divertire. La trovo una cosa piacevolissima e difficile da realizzare, tu ci sei riuscito..

R. Questa è un po’ la sfida, fare una cinematografia, un tipo di commedia che si situa nel mezzo tra il cinema super impegnato e quello di pura evasione, che poi tra l’altro se vuoi si colloca in una tradizione lunghissima del cinema italiano e non solo.

E’ un tipo di cinema che sfugge un po’ al marketing , quando va bene piace allo studente di ragioneria del piccolo centro come all’intellettuale di Milano, quando non va bene non piace né all’uno né all’altro.

Il cinema è una strana alchimia..

D. Un aspetto particolarmente curato è stato quello della scelta degli attori, che trovo tutti bravissimi.

R. Anche lì c’entra un po’ la fortuna perché fai una amalgama, metti insieme un gruppo che è formato da undici persone ma che è anche un corpo unico. Noi siamo stati molto fortunati e forse anche bravi a creare un gruppo che funzionava sia da un punto di vista narrativo che della sinergia tra di loro. In questo ci ha aiutati molto fare tante prove.

Abbiamo trovato una linea comune, quella del realismo leggermente commedia, ma appena un filo. Sono un po’ più simpatici dei personaggi veri, ma molto simili perché il lavoro è stato quello della identità.

D. Che tipo di preparazione hanno? Hanno studiato il metodo?

R. Gli attori hanno tutti una formazione diversa, chi viene dal cabaret , chi viene dal metodo o altro, noi abbiamo lavorato coi principi del metodo sul personaggio, sulla immedesimazione, sulla improvvisazione.

I primi incontri con gli attori sono iniziati un anno e mezzo prima delle riprese e abbiamo fatto letture, visitato il museo di Santa Maria della Pietà, creato una piccola videoteca di film e documentari per l’avvicinamento al provino.

Poi è iniziata la selezione degli attori e le vere prove a Santa Maria della pietà, dove stavamo dalla mattina alla sera.

D. Hai valorizzato molto gli attori e anche se il gruppo era formato da attori già bravissimi, credo che in questa maniera abbiano potuto dare ancora di più. Tu stesso credi nei principi che muovono il personaggio “Nello “ ad agire?

Il risultato è eccezionale.

R. Una volta tanto tutta questa teoria ha trovato una collocazione e credo che non farò più un film senza fare questo tipo di preparazione prima. L’intervista è finita, la sensazione che mi rimane è di una persona deliziosa, tanto quanto il suo film.

 

Anna Gorrieri*

Avvocato del Foro di Roma

 

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